Dopo l’uccisione di don Roberto Malgesini l’obiettivo sia capire che cosa si è dimostrato inefficace e operare le scelte necessarie a far sì che cambi profondamente il modo di affrontare la povertà estrema e non abbiano a ripetersi eventi tanto tragici.
Se quanto accaduto, purtroppo, non si cancella, resta il dato dell’inadeguatezza di ciò che oggi è messo in campo per intercettare e prendere in carico le persone, italiane o immigrate, a rischio di devianza grave.
Affinché i cittadini siano davvero tutelati è necessario che ci si assuma la responsabilità di una reale presa in carico di costoro e si abbia la forza e il coraggio di affrontare le situazioni più complesse con tutte le risorse economiche e culturali necessarie. Il tema non riguarda il volontariato ma attiene propriamente alla responsabilità politica.
Prevenzione e cura richiedono risorse da destinare a progettualità nuove e ad hoc che mettano in campo le competenze di educatori di strada, mediatori linguistico-culturali, psicologi, psicoterapeuti e assistenti sociali. È poi assolutamente necessario che tali progetti siano accompagnati e verificati.
Chi ha la responsabilità politica dovrebbe sempre spiegare, con lealtà e chiarezza, cosa va facendo, con quali mezzi e dove intende arrivare, evitando narrazioni utili solo ad alimentare visioni distorte e distorcenti: il sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) gestito dai Comuni, per fare un esempio, è stato archiviato da una propaganda faziosa che, ponendo all’attenzione alcune situazioni deteriori senz’altro sanzionabili, ha spinto a identificare l’investimento nella cura e nel controllo dei richiedenti asilo con una presunta “mangiatoia” di approfittatori fuori controllo.
È il momento di avviarsi su piste del tutto alternative a quelle di chi suggerisce di trovare la risposta nel porto d’armi. I nostri concittadini si aspettano di essere chiamati a condividere e sostenere percorsi che risveglino la fierezza di appartenere a un popolo erede di una cultura e di una storia, civile e spirituale, che li vuole consapevoli dei propri doveri e diritti, in uno Sato davvero capace di assicurare una reale tutela di tutti e senza dover scoprire l’esistenza dei problemi troppo tardi, il “giorno dopo”.
L’uomo che ha ucciso don Roberto è in Italia dal ’93. Non esce, quindi, dal capitolo “immigrazione clandestina” ma da quello della “marginalità”.
La vittima era un prete dedito all’esercizio della prossimità evangelica nei riguardi delle persone che abitano i margini della nostra società. È stato, giustamente, già annoverato tra i Santi ma questo non può bastare a chi porta una responsabilità politica.
L’omicida è stato, invece, subito classificato come “fuori di testa”.
Tutto risolto, quindi? Nient’affatto.
La vittima, si è detto, sarebbe potuto essere uno dei suoi avvocati, ma anche un volontario, oppure una persona qualunque, una donna…
Non possiamo fingere di non vedere come alcune leggi, prive di “visione” ma utili alla propaganda, abbiano fatto lievitare ulteriormente il numero di persone (prevalentemente maschi) che abitano la penombra senza futuro della deriva sociale delle nostre città, vivendo di espedienti. In quello spazio si sopravvive grazie all’elargizione di cibo e indumenti da parte del volontariato, che tappa generosamente il buco. Ma le condizioni di quelle esistenze restano inaccettabili, prima di tutto per noi. Se alcuni, rassegnati, avanzano sorretti dal desiderio di provare a farcela ancora fino a domani, lo sguardo perso di tanti altri esprime tutta la desolazione di un’esasperazione crescente, pronta a esplodere in una frase o in un gesto.
Riuscendo persino a distrarre gli esercenti dal proliferare di nuovi centri commerciali (in una città già accerchiata dalla grande distribuzione), questa amministrazione comasca, a trazione leghista, ha fatto della sicurezza e del decoro la sua parola d’ordine. Ebbene: è evidente che proprio in questo ha fallito.
Stordita dalla martellante sloganistica sull’immigrazione, la nostra sciagurata città ha festeggiato come un successo la chiusura del Centro governativo fatto aprire con paziente determinazione nell’emergenza 2016 in via Regina, senza comprendere che in quello spazio operavano CRI, Caritas e Questura esercitando, oltre alla funzione di prima assistenza, il compito delicato di analizzare le situazioni delle persone accolte, premessa a ogni intervento e all’avvio di soluzioni praticabili.
I decreti sicurezza hanno fatto il resto: ma non perderemo tempo a ripetere le implicazioni negative di simili colpevoli semplificazioni e la loro declinazione nella nostra città.
Trascorsi i giorni del lutto, restano le questioni nodali e sono senza risposta le domande accese dalle tante informazioni circolate in questi giorni che interpellano proprio riguardo al tema più ampio delle persone senza dimora.
Vediamole in dettaglio.
• È fondamentale che si chiarisca quale è oggi il ruolo politico del Comune di Como nella “Alleanza territoriale ai servizi per la grave emarginazione e i senza dimora” (formalizzata nel giugno 2016, con Capofila il Comune di Como) che si rivelò subito strumento prezioso nell’emergenza stazione di quello stesso anno
• Da molte parti si invoca un ruolo di “regia” da parte delle istituzioni. Cosa fa il Comune di Como?
• È un dato che negli ultimi tre anni questa amministrazione ha ridotto gli spazi destinati alle emergenze abitative (da via Conciliazione al Campo governativo).
• La progettualità ereditata dalla precedente amministrazione è stata accantonata: in questa logica è stato fermato l’intervento già pronto sull’immobile di via Tibaldi (finanziato da risorse ministeriali) che avrebbe permesso di liberare la struttura di via Sacco e Vanzetti con destinazione emergenze abitative (oltre 50 posti).
• Risulta del tutto abbandonato senza alcuna alternativa il progetto predisposto dall’amministrazione precedente sull’immobile di Via Volta, pronto per essere rilanciato con il supporto, già acquisito, di “fondazione Housing sociale”, dopo la bocciatura da parte della commissione di gara dell’unica offerta presentata da un’A.T.I. locale.
• Non è ancora iniziato il percorso di residenzialità assistita che fa capo agli 843.000 € del “PON inclusione” (destinato proprio alla marginalità estrema) datato ottobre 2016 e disponibile dal 2017.
• Dopo oltre tre anni ci vien detto che a breve i soldi del “PON inclusione” saranno utilizzati. Senza volontà, progettualità e controllo politico, tuttavia, non c’è alcuna garanzia che si realizzi un cambiamento della situazione misurabile e sostenibile nel futuro, con la prospettiva che, esauriti tali fondi, tutto torni come prima.
• Il teatrino intorno a S. Francesco e i mesi trascorsi senza una risposta all’istanza del Consiglio comunale, sostenuta dalla cittadinanza, di far temporaneamente fronte all’emergenza con un ulteriore dormitorio descrivono l’immobilismo e l’incapacità di risolvere le situazioni meglio di qualunque parola (la disponibilità data dal Direttore Generale di ASST lariana per San Martino è datata 17 ottobre 2019). Si aspetta forse e si spera in una ciambella di salvataggio da parte della Diocesi? Se e quando ciò dovesse avvenire sarebbe certificata la fine politica di questa Giunta.
• Risulta che l’omicida sia persona conosciuta da molti e, in particolare, dagli operatori di “Porta aperta”, che non è solo un’attività “caritativa” della Diocesi gestita da Caritas, ma svolge un servizio remunerato per conto del Comune di Como.
• Si dice che l’omicida avesse manifestato atteggiamenti polemici e talora aggressivi. Sarebbe importante sapere chi ne era stato informato e se qualcuno abbia mai relazionato in una qualche riunione indetta dalla “Alleanza territoriale ai servizi per la grave emarginazione e i senza dimora”.
• Risponde al vero che era stata effettuata una verifica più accurata della sua personalità? Se si, quando e da chi?
• Sarebbe utile sapere se e come vengono raccolte delle informazioni relative alle persone intercettate sulla strada, in particolare se “complesse”, se in qualche caso siano proposti approfondimenti, chi ne viene informato, chi è chiamato ad assumere eventuali determinazioni conseguenti.
• I cittadini vorrebbero sapere se qualcuno si sta facendo carico di monitorare la presenza sul territorio di persone che meritano un’attenzione particolare.
• Soprattutto i cittadini vorrebbero sapere come si intenda agire.
Molte di queste considerazioni non troveranno risposta.
Dinanzi a tutto ciò riteniamo sia indispensabile promuovere e offrire un’alternativa seria e credibile ai cittadini di Como.