Nel giugno 2014 da assessore all’ambiente, al termine di un percorso che avevo iniziato alcuni anni prima dai banchi della minoranza, diedi inizio a Como alla raccolta differenziata.
Tra le scelte di cui mi volli assumere la responsabilità, contro il parere di tanti e le consuete obiezioni di scettici, ostinati, saccenti e sapientoni, ci fu quella di imporre la distribuzione di sacchetti di carta riciclata per la raccolta dell’organico. Scelgo fra tanti un numero di Altreconomia (n.246 del marzo 2022) nel quale si affida a Elisa Nicoli il compito di spiegare perché quella scelta si confermi, ogni giorno di più, quella giusta e abbia posto la nostra città, almeno in questo, tra le avanguardie.
(Ciò che segue nel post, con dati ripresi dall’articolo citato, è suggerito a chi vuole approfondire).
L’Istituto italiano imballaggio (istitutoimballaggio.org) segnala che nel 2019 i sacchetti compostabili in “bioplastica” (60% da materia prima fossile e solo il 40% rinnovabile!) che sono quasi ovunque usati per la raccolta dell’umido, costituivano, in peso, il 95% delle bioplastiche prodotte in Italia. Dagli inizi del 2021, ricordiamolo, le bioplastiche compostabili sono considerate frazione estranea agli altri tipi di plastica (ovvero non devono essere eliminate con la plastica!).
L’articolo spiega che le bioplastiche si degradano preferibilmente a condizioni aerobiche mentre oggi una metà della frazione organica viene avviata a “digestori anaerobici” per la produzione di biogas. Ciò impone che le bioplastiche presenti vengano rimosse con un processo oneroso.
Vent’anni fa, quando se ne iniziò la raccolta, l’organico veniva avviato al compostaggio industriale, con tempi di lavorazione completamente diversi e con processi aerobici. Ciò giustificava il ricorso alle bioplastiche.
I cittadini comaschi sanno che col sacchetto di carta il maleodorante percolato è pressoché nullo. Viceversa, nei sacchetti in bioplastica compostabile si formano velocemente liquami e spesso si rompono: la soluzione cui si ricorre è mettere tutto in un secondo sacchetto, col risultato di aumentare il consumo di bioplastica e di ridurre la speranza che diventi compost.
La bioplastica compostabile ha una scadenza e, se vecchia, tende a lacerarsi. Con la crescita della produzione sono cresciute le quantità divenute inutilizzabili perché scadute. È il Consorzio italiano compostatori (Cic.compost.it) a segnalare che è più che raddoppiata la percentuale di bioplastica compostabile presente nell’umido dal 2016/2017 al 2019/2020.
L’articolo di Altreconomia, al quale rimando, indica una sola soluzione: il ricorso ai (nostri) sacchetti in carta certificati UNI EN 13432. A supporto viene richiamata l’analisi del ciclo di vita dei due differenti sistemi di raccolta dei rifiuti organici (“Life cycle assessment of the food waste management with a focus on the collection bag”, Waste Management & Research, 2021).
Un altro studio citato, “Evaluation of the anaerobic degradation of food waste collection bags made of paper or bioplastic” (Journal of Environmental Management, 2022), conferma che i sacchetti in carta sono biodigeribili nei digestori anaerobici ,fanno aumentare la produzione di biogas e la fibra di cellulosa che li compone può essere recuperata nel digestato per produrre poi compost.
Infine, ma nient’affatto secondario, i sacchetti di carta derivano da carta riciclata mentre la bioplastica compostabile dei sacchetti è realizzata con un 40% di materia prima coltivata appositamente, occupando suolo altrimenti utilizzabile per la coltivazione di cibo.