Appunti dalla Lombardia Covid-19
Non ora.
Appena il contagio si contrarrà e il servizio medico tornerà lentamente a regime e gli ospedali alle loro funzioni, non dovremo tornare a parlare solo della Sanità pubblica lombarda, delle scelte politiche, a partire dalla visione aziendalista, ma delle implicazioni sociali, delle scelte conseguenti e di tutti coloro che hanno fallito nel momento della prova.
– La gestione socio-sanitaria.
Abbiamo ricevuto, per giorni, segnali angosciati di Vite che consumano giorni nella solitudine e
nell’abbandono, di persone con la febbre e di medici curanti, impotenti, che dal telefono provano
a illudere se stessi, i loro pazienti e coloro che gli sono accanto. Di persone alle quali si è aperto lo
spiraglio del ricovero all’ospedale solo quando è mancato il respiro, e poi, solo poi, la
certificazione della positività.
A lungo si è detta irrilevante la tempestività e la qualità della cura . Perché non ammettere che il
protocollo adottato si è rivelato tragicamente inadeguato?
Della “CAPORETTO della sanità lombarda” hanno parlato ufficialmente i medici e nessuno può più dire che si tratti di polemiche.
Ma già si è dovuta registrare una seconda “CAPORETTO”, sul fronte socio-sanitario.
Molte voci si erano levate, poi fatte proprie dai sindacati, per denunciare come le realtà più a rischio fossero diventate le comunità residenziali per disabili e per Anziani (RSA).
Proprio come il personale sanitario negli ospedali, chi lavora nelle strutture socio-sanitarie per disabili e anziani è stato, per giorni, dapprima incolpevole vittima e poi involontario motore del
contagio, avendo dovuto lavorare senza le dovute protezioni e i necessari monitoraggi.
Lo conferma il numero dei decessi per un contagio inesorabile che si è diffuso in molte comunità residenziali.
L’allarme è arrivato troppo tardi.
Qualcuno risponderà mai di tali “leggerezze”?
È oggettiva la mancanza per giorni e giorni di un supporto istituzionale tempestivo, efficace e adeguato alla situazione sia per ciò che riguarda la tutela mediante dispositivi di protezione
individuale sia per i monitoraggi.
Ma di chi è la competenza?
Le materie rientranti nell’incarico dell’assessore al welfare di regione Lombardia sono facilmente verificabili sul sito istituzionale. Eccole: “Servizio Sanitario Regionale – Programmazione sanitaria –
Prevenzione sanitaria – Servizi socio-sanitari”.
Non pare ci siano dubbi.
Nel suo intervento alla Camera l’onorevole Locatelli (Lega, per qualche settimana estiva ministro della salute) ha certificato dinanzi al Paese il fallimento delle politiche sanitarie e socio sanitarie di
Regione Lombardia. Il suo riferimento alla situazione drammatica della val Seriana e all’incapacità di supportare i medici di base e la medicina del territorio, la dichiarazione “urbi ed orbi” del disastro delle RSA, abbandonate e diventate centri di contagio e dolore, e il disastro nel mondo della disabilità sono solo una conferma di quanto sopra asserito.
La Lega, paradossalmente, chiede al Ministro e allo Stato di fare ciò che il centrodestra che governa la Lombardia da 25 anni non è stato in grado di fare: circa il 76% del bilancio complessivo della regione è destinato al welfare (sanitario e socio sanitario), e di questo più del 50%, va ai privati, che ne trasformano circa il 30% in profitti e non in servizi.
È pronta ad affiorare l’angoscia e la rabbia di lutti non rielaborati, di saluti definitivi, frettolosi e inconsapevoli, cui ha poi fatto seguito un silenzio angosciante e la lunga attesa della consegna di
un’urna con le ceneri.
– Le risposte alla vulnerabilità sociale.
All’orizzonte, ma non così lontano, si profila il limite della tenuta psicologica delle persone più ragili, degli adolescenti difficili, di chi ha già problemi di salute mentale.
Le condizioni socio-economiche impari si dilatano e sono pronte a esplodere.
l cittadini in difficoltà hanno saputo che il governo ha stanziato risorse per BUONI SPESA e FORNITURE DI GENERI ALIMENTARI e che i fondi sono assegnati ai Comuni per la distribuzione.
E le risposte organizzate dai singoli Comuni già riflettono in modo evidente le profonde differenze di approccio e visione.
Questa breve analisi prende spunto da quanto succede nella mia città, Como, amministrata da Lega e Fratelli d’Italia con appoggio esterno di Forza Italia, destinataria in questi giorni di un primo
trasferimento di circa 430.000 euro.
C’è voluta una settimana lavorativa perché la Giunta comunale di Como mettesse a punto, in assoluta solitudine e senza alcun confronto politico, un piano di erogazione delle risorse da
indirizzare a situazioni di difficoltà economica conseguenti alla pandemia in essere.
Era atteso da molti cittadini con una certa trepidazione.
Come forse ci si doveva aspettare, la Giunta comasca ha reso manifesta una imbarazzante distanza dalle situazioni di difficoltà originate dallo tsunami dell’emergenza economica e, quindi, dallo
spirito che aveva sostenuto la richiesta, rivolta al il governo, di mettere prontamente a disposizione risorse.
Secondo la Giunta comasca per poter presentare richiesta di un bonus (utilizzabile solo per fare la spesa in strutture convenzionate) il cittadino non deve:
“detenere alla data di presentazione della domanda un patrimonio mobiliare derivante da qualsiasi tipo di rapporto finanziario (a titolo esemplificativo: conto corrente, depositi, libretti di risparmio, fondi di investimento, titoli di stato, azioni…) superiore a 2mila euro per il nucleo composto da una sola persona, incrementato di 1.000 euro per ciascun ulteriore componente e comunque non oltre 5mila euro”.
È questo lo spirito del DPCM?
Replicando in emergenza vecchie consuetudini burocratiche se ne
smarrisce completamente la ragion d’essere, che era quella di sostenere i soggetti che vivono una difficoltà economica in ragione e solo per questo particolare frangente.
Qualche altro Comune pone una condizione del genere, ma con ALTRI FATTORI DI SCALA: ad esempio, il comune di Alessandria richiede di “non avere in banca patrimonio superiore a 6mila
euro per componente il nucleo, non possedere beni immobili oltre alla prima casa, non aver percepito nei primi tre mesi dell’anno un reddito famigliare lordo complessivo indicato in una specifica tabella”.
La delibera approvata dalla Giunta comasca, scegliendo di ricalcare le consuete modalità con le quali freddamente e abitualmente affrontano le povertà ordinarie, risuona, quindi, davvero molto
lontana dalla realtà emergenziale e del tutto nuova sperimentata da chi vive di lavori discontinui o precari e che si trova in una difficoltà grande e inattesa, qui e ora.
Il confronto con le scelte di altre amministrazioni è il modo più semplice per cogliere la stonatura comasca (una fra le altre) e per mostrare quali DIVERSI APPROCCI fossero possibili, esiti di visioni
del tutto alternative. Tre esempi:
BRESCIA
I requisisti di accesso sono “SEMPLICEMENTE”:
“ perdita del lavoro, dipendente o flessibile, dopo il 23 febbraio 2020;
sospensione o chiusura dell’attività autonoma dopo il 23 febbraio 2020,
stato di non occupazione, già prima dell’emergenza sanitaria,
riduzione delle entrate mensili da attività lavorativa e professionale per una misura superiore al 50%,
estrema fragilità a causa dell’emergenza e impossibilità ad accedere al conto bancario perché congelato temporaneamente,
se beneficiari di altri sostegni pubblici al reddito, si può accedere se in presenza di persone particolarmente fragili (es. con patologie sanitarie, anziani o disabili) all’interno del nucleo (valutazione del Servizio sociale)
BERGAMO
La Giunta di Bergamo individua tra i destinatari:
“ Partite Iva e altre categorie non comprese dai dispositivi attualmente in definizione a livello ministeriale; Anziani soli con pensione minima; Nuclei familiari numerosi (5+ componenti); Nuclei mono-genitoriali; Privi di occupazione non destinatari di altri sostegno economico pubblico”
TORINO
Premette che i buoni spesa alimentari sono destinati ai nuclei familiari residenti a Torino “in condizioni di grave difficoltà causa emergenza Covid-19 per:
– perdita o riduzione del lavoro
– sospensione dell’attività o altro
Precisando che Chi NON percepisce alcun sussidio pubblico riceve il consenso immediato (nessun componente del nucleo familiare deve percepire Reddito di Cittadinanza, REI, NASPI, indennità di
mobilità o cassa integrazione).
Chi invece percepisce Reddito di Cittadinanza o altri sostegni pubblici viene inserito in lista di attesa, compatibilmente con le risorse disponibili”.
La situazione che abbiamo tratteggiato impone a tutti di riflettere su come gli orizzonti e i “fondali” politici non siano affatto neutri. La pandemia sta mettendo alla prova e stressando i diversi modelli socio-politici e culturali, a partire dai sistemi sanitari, che si concretizzano in strutture, modelli organizzativi, allocazione di risorse, scelte di investimenti, governance.
In due parole: scelte politiche.