Dopo il rinvio dell’udienza di stamane a Como, la mia città, nel silenzio di troppi, resto fiducioso che la vicenda processuale di don Alberto Vigorelli arrivi presto a conclusione.
Il mio personale auspicio è che l’esito sia il completo e assoluto proscioglimento del “presunto reo” che si sosteneva avesse, “durante l’omelia domenicale”, offeso “la reputazione di Salvini Matteo [persona offesa], nella sua qualità di legale rappresentante e segretario Federale del Movimento Politico Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”. In che modo? “In data 6.11.2016” don Alberto “ammoniva i fedeli presenti con la seguente espressione: “…o sei cristiano o sei di di Salvini…”.
Ora c’è, comunque, la necessità di qualche considerazione, tutta politica, che scaturisce da questa vicenda e, precisamente, dalla stessa azione legale intrapresa da chi, invocando il ruolo politico, ha ritenuto di poter additare come diffamatoria nei suoi confronti un’affermazione di un sacerdote, espressa nel libero e tutelato esercizio della propria funzione pastorale, nel commento domenicale di un passo di quell’evangelo in cui si legge esattamente “perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
La laicità dello Stato, il diritto di critica, il diritto all’esercizio della libertà religiosa e, non ultima, la rilevanza dell’ordinamento canonico rendono non già la frase pronunciata quanto, piuttosto, la pretesa che la stessa possa essere in qualche modo diffamatoria, un atto di rilevanza “politica”.
Il canone. 747 § 2 del Diritto canonico afferma che “è compito della Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l’ordine sociale” e addirittura impone di “pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime”.
Piaccia o non piaccia, l’oggetto dell’omelia – acclarata dal vangelo proposto dalla liturgia del giorno – fa riferimento all’esigibilità dei diritti della persona umana e ai principi circa l’ordine sociale.
Dispiace che ciò contrasti con talune ideologie politiche?
Dispiace che taluno dissenta?
Dispiace che un sacerdote rilevi incompatibilità tra ciò che dice l’evangelo e ciò che proclama un leader politico?
Chi se ne lamenta se ne faccia una ragione.
Resta il fatto che la pretesa stessa che ciò debba essere sanzionato esprime un’idea dello Stato e della libertà, che è politica. E della quale molti di noi si trovano agli antipodi.
Anche l’estremo invito rivolto a don Alberto a chiedere scusa offrendo in cambio il ritiro della querela, nel mentre che, più o meno esplicitamente, si attribuisce al sacerdote un sentimento di “odio”, che certamente non gli appartiene e che con un sorriso respinge, si deve più verosimilmente ascrivere a quelle modalità propagandistiche tese a promuovere e rinforzare un pensiero che resta, per chi scrive, da contrastare.
Mi ritrovo, infatti, tra i tanti ai quali sta a cuore una società nella quale nessuno può avere la pretesa di far tacere chi esprime una critica legittima, una società nella quale non ha cittadinanza l’ipotesi di fedi “in libertà vigilata”, nella quale nessuno possa immaginare che il ruolo dei preti sia quello di ancelle del potere di turno (salvo poi dover assistere a strumentalizzazioni di gesti e simboli della devozione popolare, fatti passare per gesti religiosi), una società nella quale nessuno possa avere la pretesa di veder sanzionati coloro i quali non sono disposti a rinunciare a suscitare e alimentare coscienze libere, ordinate al bene dei poveri e, per questo, pronte a inginocchiarsi dinanzi ai crocefissi dalla storia.