In questi giorni si è riaperto il dibattito su Ticosa.
Credo che in questo momento sia da porre con urgenza una priorità assoluta: delineare con chiarezza le “regole del gioco”.
Alla pubblica amministrazione è affidato questo compito, che attiene alla stessa responsabilità politica: scegliere e rendere pubblico lo strumento di “governo” del processo, quello ritenuto più idoneo.
Tale strumento deve essere in grado di assicurare l’obiettivo primario di questo intervento di trasformazione urbana, ovvero la costruzione di un progetto che abbia l’ambizione e la dignità di un ridisegno “urbanistico” complessivo, in grado di generare, sull’intera città, effetti significativi e duraturi e non solo di rispondere a urgenze, pur legittime, ma contingenti e settoriali.
Questo processo interessa un’area di proprietà pubblica e pretende, più di ogni altro, processi trasparenti e aperti a tutti i possibili interlocutori: se nessuna idea può essere a priori censurata, sarebbe un imperdonabile errore metodologico il pensare di poter risolvere il problema semplicemente assecondando una particolare proposta, per quanto autorevoli ne fossero i proponenti. Lo stesso strumento del project financing, al momento non invocato da alcuno, ha regole ferree.
La sola via proponibile, non solo auspicabile, resta, a mio parere, l’avvio di un processo di trasformazione guidato e coordinato dall’interlocutore politico, che deve dimostrarsi capace di governare l’intero processo, cominciando dalla definizione di “regole” funzionali all’obiettivo sopra descritto assicurando la partecipazione plurale di interessi e intelligenze.
Questa è la vera novità che ci si aspetta, ma anche la sola garanzia del successo, dopo tante disillusioni, di un’impresa “storica” di trasformazione urbana attesa e invocata da oltre trent’anni.
Si ha la sensazione, in questi giorni, di protagonismi generosi che suonano però come fughe in avanti perché precedono, appunto, la definizione delle regole e come tali sono destinati a generare imbarazzi, resistenze e polemiche a motivo della loro intempestività.
Sono andato a rileggere la mia dichiarazione di voto (contrario) in Consiglio comunale del luglio 2010, nel momento in cui la maggioranza di centro-destra di allora approvò il progetto Multi.
Ne riporto, di seguito alcuni stralci che considero del tutto attuali.
“Se l’urbanistica è quella disciplina complessa che partendo dalla conoscenza del territorio e delle sue necessità di sviluppo e di vita si pone l’obiettivo di ricercare nuove condizioni che supportino il funzionamento della vita urbana in modo tale che questa risulti “sana, bella, comode ed economicamente sostenibile”, possiamo considerare la Ticosa una occasione perduta. Anche le continue sollecitazioni ad una soluzione, senza troppa preoccupazione per gli obiettivi, hanno contribuito a questo esito che vede concretizzate le preoccupazioni da me avanzate con chiarezza durante tutto l’iter e che è l’inevitabile conseguenza del metodo adottato.
Le richiamiamo brevemente:
1. alla radice di questo intervento in Ticosa c’è quella che si deve definire una sconcertante pigrizia nella definizione e nella scelta delle funzioni da insediare; un agire caratterizzato da tale “pigrizia”, ai limiti dell’ignavia, al punto da rinunciare perfino alla definizione di generiche funzioni “generali” da insediare in quell’area, limitandosi ad escluderne alcune; non stupisce, quindi, che oggi il progetto non generi alcun sostegno a possibili insediamenti di attività o funzioni innovative capaci di dare slancio economico o culturale al territorio (sono finite nel cestino le diverse proposte di destinare quell’area allo sviluppo universitario, a un polo tecnologico, a spazi per lo sviluppo di imprese culturali, della conoscenza o del turismo)
2. la rinuncia a o l’incapacità di farsi carico di un “progetto urbanistico” degno di tale nome si riflette nel dibattito delle scorse settimane, ridotto ad un confronto su aspetti prevalentemente architettonici, sull’impatto visivo rispetto all’esistente, nella prospettiva ormai accettata di una pianificazione del nulla sospinta dall’urgenza di colmare un vuoto vissuto come imbarazzante;
3. l’indisponibilità ad un confronto su temi strettamente urbanistici ha coinciso con l’archiviazione di ogni dibattito sulle trasformazioni urbane che questa città da tempo invoca: diversamente da quanto immaginato fino ai primi anni ’90, si è rinunciato a considerare l’area Ticosa come elemento di un comparto urbano significativo, che va da San Rocco a San Rocchetto, sul cui destino complessivo si erano spese intelligenze (e denaro pubblico), consentendo, nel mentre, interventi incoerenti e scoordinati, nella logica dell’urbanistica contrattata
4. come sempre avviene quando con una gara si affida l’intera progettazione ad un investitore privato, il progetto, di fatto, si “AUTOCERTIFICA” e si presenta con la pretesa di essere validato, anche se ciò appare stridente con la pressoché totale assenza di esiti convincenti, compresa la soluzione viabilistica, vantata come il vero benefit collettivo;
5. l’impaccio e la sensazione di impotenza rilevabili tra i consiglieri di maggioranza sono indicatori del malessere conseguente alla metodologia adottata, che li esclude dalla possibilità di discutere delle funzioni che quell’area avrebbe potuto/dovuto accogliere: ma se il progetto si ”autocertifica” e gli esiti della trasformazione risultano sempre meno chiari, l’effetto prodotto è l’offuscamento della vista dei decisori (ovvero dei Consiglieri comunali)
6. nel dibattito stride la mancanza di valutazioni degli effetti dell’intervento sui valori economici in gioco, sui flussi sociali e su quelli economici, sulla stessa mobilità;
7. infine il punto nodale che consiste nel tradimento della “missione” politica.”
Bruno Magatti