Se dovessimo porci due domande oggi, due, solo due, soprattutto noi che proviamo a fare politica partendo dal basso, queste domande sarebbero “quanto possiamo influenzare l’opinione pubblica” e “come si fa egemonia culturale oggi“.
Sì perché né Habermas nè Gramsci saprebbero trovare le risposte oggi partendo dall’analisi del passato.
Tuttavia l’analisi del presente ci dà qualche suggerimento utile.
Quanto conta l’impegno del singolo, la sua militanza, il suo senso civico nel migliorare la qualità della vita di tutti?
Abbiamo forse un parametro per capirlo? Sì, un parametro c’è. A volte questo impegno fa notizia. E la notizia è qualcosa che interessa la stampa, che è il primo veicolo per influenzare l’opinione pubblica.
Una volta però emersa la “buona azione” che cosa resta? Un ricordo? Forse una riflessione, non per tutti certo, ma per qualcuno sì. Ma questo non basta, non è sufficiente.
Davvero è possibile quindi che i media, la carta stampata, i telegiornali, non siano in grado di costruire un’egemonia culturale influenzando l’opinione pubblica oggigiorno? Sì, sono tanti interrogativi, ma la questione è proprio questa: una serie di domande. Nel lento declino della diffusione della carta stampata, e delle notizie verificate, è venuto anche meno uno degli strumenti che con l’illuminismo fece la diffusione della cultura e dei modelli di riferimento.
Non solo le idee e le ideologie, ma anche il gusto e lo stile, la stampa per oltre due secoli ha permesso il fluire di informazioni, notizie, cliché, ma anche opinioni dissonanti, controcorrente e rivoluzionarie.
Dalla Gazzetta Renana al romanzo d’appendice c’era sempre una dignità nel messaggio veicolato che aveva una funzione didascalica, a volte moralista, a volte moralizzatrice,
a volte rivoluzionaria, che si trattasse del pensiero di Marx o di Marinetti.
Per anni la società di massa si è formata e informata dai giornali, chi con un’opinione, chi con un’altra; idee diverse, divergenti, ma idee e ideologie erano.
Ogginvece vediamo il lento esaurirsi della partecipazione negli organismo che compongono i cosiddetti “corpi intermedi” e il verificarsi dello stesso fenomeno di scarsa partecipazione avviene anche alle elezioni locali, spesso sempre più disertate.
Venendo meno la fiducia verso chi si impegna nella propria comunità possiamo intravedere diversi fenomeni.
Il primo è la mancanza di conoscenza di chi fa politica da parte del cittadino, forse perché non ci sono modi di conoscere per via del diradarsi dei legami sociali, ma anche della presenza di questi sulla stampa locale. A volte l’impegno non fa notizia.
Dall’altro vediamo che il disgregarsi dei partiti di massa ha reso la militanza un fatto di pochi, così come lo scomparire dei grandi luoghi della produzione industriale.
E’ molto difficile che un modello culturale oggi possa influenzare l’opinione pubblica.
Senza ideologie, senza grandi luoghi di aggregazione e di elaborazione il modello del passato su cui si sono costruite le moderne organizzazioni di massa, partiti, sindacati, associazioni, è piuttosto complicato da emulare.
Anzi considerando questo fatto, vedendo che la militanza, l’impegno di tanti spesso è ininfluente sull’opinione pubblica, c’è da chiedersi che cosa desta l’interesse, l’emotività, la volontà dell’opinione pubblica.
Non è certo vero che valori e prospettive non siano presenti nell’immaginario dell’opinione pubblica oggi, perché sappiamo che i social network e le televisioni formano ancora oggi una dimensione prepolitica che orienta larghe fette della popolazione.
Tuttavia la parcellizzazione del lavoro e della società rendono molto complicati da recepire tutti i messaggi sociali che non siano ridotti ad enunciati e slogan.
Lo spazio per l’elaborazione in una società dell’immagine predefinita è assai limitato. L’opinione pubblica fatica ad uscire dagli stereotipi di una narrazione data, come se fossimo sempre in uno spettacolo teatrale con tre porte sullo sfondo.
Ecco la narrazione degli ultimi anni ha imbrigliato la capacità di immaginare qualcosa di diverso da quello che veniva raccontato.
Non è detto che quanto uscito dalle narrazioni fosse falso, ma sappiamo oggi che non è nemmeno del tutto vero.
Che strumenti hanno le persone per formarsi, dotarsi di strumenti e ragionare in maniera autonoma su ciò che gli accade intorno?
Forse è quello che occorre davvero, tornare all’elaborazione, alla capacità che ciascuno ha di vedere le cose per quello che sono, uscendo dal mantra di una serie di frasi fatte che la “città per bene” si ostina a ripetere, ma che in cuor suo ciascuno sa che non possono essere elementi di riflessione o cambiamento.