Dopo gli interventi e le parole in libertà di improvvisati esperti di pianificazione e di politiche urbane riteniamo necessario un ulteriore approfondimento, dopo il nostro precedente intervento (“C’è chi pensa di chiudere le nostre scuole”).
Le strutture scolastiche che, a quanto ci è dato di sapere, l’amministrazione comunale di Como intenderebbe chiudere godono, in queste stesse ore, della presenza vivace di bambine e bambini con i loro insegnanti. Non si tratta quindi di “stamberghe” fatiscenti ma di immobili che, come ovvio, esigono costanti interventi di manutenzione e adeguamento (proprio ciò che è stato fatto recentemente e con costi importanti anche in alcune delle scuole che sono nell’elenco).
D’altra parte nessuno, per quanto ci risulta, ha mai ventilato l’ipotesi di costruire nuovi edifici scolastici con criteri “moderni”. Quello che invece, più prosaicamente i nostri amministratori hanno immaginato, è “concentrare” gli utenti e i loro insegnanti in pochi edifici, sostanzialmente equivalenti a quelli che si abbandonerebbero. Inoltre, il destino degli immobili chiusi è ben evidente, ad esempio nelle ex-scuole di Lora e di via T. Grossi.
L’accorpamento porterebbe certamente alla riduzione del numero di classi con un numero maggiore di alunni in ciascuna (le famose classi pollaio): è la solita vecchia logica di chi non riesce a pensare ad altro che a saturare gli spazi eliminando a priori ogni possibilità creativa (quella espressa dai docenti quando sono dati loro possibilità e spazi). Parliamo di aule attrezzate, di laboratori, di biblioteche, di luoghi per la musica per l’attività teatrale, per lo studio, per colloqui riservati. Ancora oggi nelle scuole di ogni ordine e grado gli insegnanti sono costretti in uno stanzone (chiamato benevolmente aula docenti) incapace di contenerli tutti contemporaneamente e senza la minima attrezzatura o dotazione personale (una sedia e una scrivania!) per svolgere le molteplici attività essenziali che sono necessariamente svolte altrove. La riduzione del lavoro del docente al solo “front-office” della presenza in aula è assolutamente mediocre.
Il modello messo in campo da questa amministrazione comunale, sostenuto dai plaudenti che abboccano all’amo della razionalizzazione, è manifestazione di un’ idea di scuola ferma a molti decenni addietro. Senza idee, senza cultura, senza visione le proposte non possono che scaturire dalle menti di burocrati.
Non è qui nemmeno il caso di fare esempi delle migliaia di edifici antichi (non solo “vecchi”) che interventi di riqualificazione hanno reso efficienti dal punto di vista energetico e funzionale.
Basterebbe volerlo ed esserne capaci. D’altra parte questo tipo di intervento sarebbe in linea con l’obiettivo di ridurre a zero il consumo di suolo.
Tutto ciò va per giunta collocato in un tempo nel quale sono notevolmente cresciute le complessità ed è profondamente mutata l’organizzazione del lavoro.
Nel nostro intervento dello scorso 18 settembre abbiamo già evocato i modelli di “città 15 minuti” ben sapendo che chi sta agendo in questa direzione lo fa alla luce di un’attenta analisi dei cambiamenti sociali, mosso dalla volontà di offrire risposte adeguate alle esigenze primarie delle persone. Tali modelli sono stati sviluppati anche con l’obiettivo di attrarre popolazione giovane e potenzialmente fertile nei quartieri oggi occupati da anziani e di “governare”, e non solo subire, fenomeni nuovi. Invece chi evoca come alibi scenari di denatalità, dimentica processi sociali più ampi che ne sono concause. Primo fra tutti la difficoltà crescente a trovare casa per le fasce sociali meno tutelate in territori in cui gli appetiti di chi ha fatto della “rendita” la propria ragione di vita hanno aumentato le disparità. A ciò si aggiungono le difficoltà derivanti dalla necessità di maggiore mobilità delle persone conseguente alle mutate condizioni lavorative.
Purtroppo, invece, mentre altrove chi conosce o studia questi fenomeni continua a ribadire l’urgenza di mettere mano ai servizi rivolti alle famiglie, a Como si impongono scelte che vanno proprio nella direzione opposta. Con le loro decisioni, infatti, gli amministratori comaschi alimentano, in una logica di “profezia che si auto-avvera”, quelle problematiche sociali che dovrebbero contrastare.
Fanno quindi bene i genitori ad assediare il “palazzo” e a sottolineare che la genitorialità non si sostiene chiudendo nidi (atto n.1) e scuole (atto n. 2) bensì promuovendo condizioni più favorevoli.
Tutto ciò che ha valore ha anche un costo.