Capire Fukushima (dieci anni dopo)

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Capire Fukushima (dieci anni dopo)

Fukushima non richiama solo temi tecnologici, scelte strategiche, costi o presunti vantaggi dell’energia nucleare, per i quali è facile documentarsi, ma l’urgenza di aprire una finestra sul tema della radioattività di cui pochi sono consapevoli anche se tutti sono turbati dalla notizia, di questi giorni, che il latte materno di alcune mamme giapponesi è contaminato.

L’informazione sull’incidente è stata scarna di dati: perché parlare di Bequerel o di milliSievert se nessuno capisce che cosa significhino?

Parliamone

La radioattività naturale si deve a elementi presenti fin dall’origine della Terra e all’interazione di particelle cosmiche con i gas dell’atmosfera. Conviviamo, quindi, con una debole radioattività, in parte anche interna all’organismo, e per questo ne consideriamo non riconoscibili gli effetti per valori modesti.

È diventata un problema da quando l’uomo ha iniziato a produrla: in un reattore si generano, ogni secondo, decine di “miliardi di miliardi” di nuclei instabili, alcuni dei quali resteranno per tempi più lunghi della vita di ciascuno di noi. La radioattività, in Italia, (dati Apat) è data per il 99% da 25 mila m3 di combustibile irraggiato a cui si devono sommare 8 mila m3 dallo smantellamento delle  centrali dismesse e 1.500 m3 prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria.

 

Un nucleo è radioattivo se i due tipi di  particelle che lo compongono non sono in equilibrio. In questi casi il nucleo emette, prima o poi, una particella (alfa o beta) e, in genere, radiazione di alta energia (fotoni gamma); si osserva in qualche caso la cattura di  un elettrone. Il numero di eventi che avvengono ogni secondo è detto attività e si misura in Bequerel (10 Bq significa, semplicemente, 10 eventi al secondo).

 

I nuclei che ogni secondo decadono sono una frazione di quelli instabili presenti. Tale frazione è tanto più grande quanto più il nucleo è lontano dalla stabilità. Se l’esito del decadimento è un nucleo stabile (potrebbe non esserlo), il numero di quelli radioattivi diminuisce e parimenti l’attività osservata.

Il tempo nel quale il numero dei nuclei instabili si dimezza (e con esso l’attività) è detto “di dimezzamento”.

Dal tempo di dimezzamento e dall’attività si ricava il numero di nuclei instabili presenti.

Radioattività generata nei reattori nucleari. 

Un reattore produce, tra gli altri, nuclei di iodio 131 [I 131], che sono captati dalla tiroide, di Cesio 137 [Cs 137] che entrano nei tessuti muscolari, di stronzio 90 [Sr 90] che l’organismo “confonde” con il Calcio e che, quindi, si fissano nelle ossa.  Dai tempi di dimezzamento [I131 – 8,02 giorni; Cs 137 – 30,07 anni – Sr 90 – 28,79 anni] ricaviamo che ogni secondo decade:

  • 1 nucleo su 1 milione di nuclei di I 131 presenti
  • 8 nuclei su 10 miliardi di Sr 90
  • 7 nuclei su 10 miliardi di Cs 137

 

La radioattività svela, quindi, la presenza di grandi quantità di nuclei instabili il cui numero si va riducendo lentamente, con un ritmo espresso dall’attività.

La concentrazione in organi critici per tempi non brevi di radionuclidi inalati o ingeriti aumenta i possibili effetti.

I dati a disposizione stimano che a Fukushima siano stati rilasciati 1.400.000 TBq [T=Tera (1012)]: un miliardo e mezzo di miliardi di Bq dispersi in atmosfera o in mare.

 

Non è possibile stimolare o arrestare il decadimento con procedure “chimiche”. Un elemento instabile è chimicamente indistinguibile dal corrispondente elemento stabile (si parla di isotopi) e nessun processo chimico è efficace a separarli. Una volta prodotto un nucleo instabile resta tale finché non avverrà il decadimento. Se elementi radioattivi contaminano un lago, li ritroveremo nei pesci; alla loro morte saranno restituiti all’acqua; non servirà bruciare il pesce pescato: i nuclei instabili saranno nelle ceneri o nei fumi.

Radioattività e organismi viventi

Con “dose” si esprime l’energia (in Joule) rilasciata dalla radiazione in una massa di 1 Kg. La dose si stima tenendo conto della capacità di assorbimento dei diversi tessuti e di fattori di correzione per le diverse interazioni della radiazione con la materia. Il valore corretto in modo da risultare indipendente dalla natura della radiazione (raggi gamma, particelle cariche, neutroni) è detto “Dose equivalente”, e si misura in Sievert (1 Sv= 1 Joule/kg).

 

I rischi ai quale si è esposti crescono con la dose assorbita.

La ICRP (Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni) indica i limiti di dose per la protezione dei lavoratori e per la popolazione.

 

Il limite per persone professionalmente esposte è 20 mSv/anno (milli-sievert anno) come media su 5 anni e con massimo di 50 mSv/anno (la dose dovuta al fondo naturale che è di qualche mSv/anno).

Il limite per la popolazione scende a 1 mSv/anno e in nessun caso tale valore deve essere superato come media su 5 anni.

Della radiazione sono noti gli effetti immediati che colpiscono chiunque sia esposto ad alte dosi e quelli non deterministici, che quindi si presentano solo in alcuni individui esposti anche a piccole dosi e dopo tempi di latenza anche di diversi anni (tumori, leucemie ed effetti ereditari). Ciò è l’esito di studi che hanno interessato persone esposte, loro malgrado e in modi diversi, alla radiazione (da Hiroshima e Nagasaki in poi).

Lasciando ad altri momenti l’approfondimento di questa tematica, mi limito a riportare, senza commenti, la tabella pubblicata nel 2005 dall’ICRP in un quaderno dal titolo “Health risks attributable to radiation” (Rischi per la salute imputabili alla radiazione), che stima i tumori attesi in una popolazione di 10 mila persone che abbia assorbito la dose di 1 Sievert (poco meno di 2000, un quarto dei quali fatali).

 

 

 Un conto che a qualcuno non conviene fare.

Concludo con una riflessione. Se tutte le sofferenze generate da incidenti nucleari (primi tra tutti Chernobyl e Fukushima) fossero state riconosciute e risarcite, non esisterebbe alcuna ragionevole convenienza economica nella scelta nucleare. Anche chi ha progettato il reattore europeo di III generazione (European pressurized Reactor), che qualcuno avrebbe voluto in Italia, non esclude, e in qualche modo  ammette la possibilità di un incidente (o accidente): lo fa affidando la sicurezza  a quattro sistemi indipendenti e identici, destinati a trattenere il materiale radioattivo e a raffreddare il “nocciolo”, nell’intento di evitare la contaminazione del suolo, della falda e dell’ambiente.

Ma la storia dell’energia atomica ha già scritto pagine drammatiche che nessuno può cancellare.

(articolo pubblicato sulla rivista Strade Aperte maggio 2011)