La costruzione della città e il contributo di chi vive l’esperienza di non essere com-preso.
Molto si è detto, in queste settimane, riguardo alla vicenda del testo che ho sottoposto al Consiglio Comunale (e alla fine approvato all’unanimità), preparato da “Comodalbasso”, con l’indicazione precisa di criticità su cui intervenire prioritariamente per eliminare oggettivi ostacoli alla mobilità quotidiana di persone con disabilità.
Il documento, ripresentato ancora una volta come “ordine del giorno” correlato all’approvazione del Bilancio comunale, era già stato respinto due volte durante la discussione del Documento Unico di Programmazione, definito “strumentale” e “inutile” da un comunicato della giunta, seguìto, infine, da affermazioni temerarie dell’assessore ai lavori pubblici che ebbe a proclamare in sede di commissione che “la verità è che” in questa città mai nessun barriera architettonica è stata abbattuta.
Se alla fine molti (compresi i consiglieri di minoranza del gruppo di Rapinese) hanno dovuto fare un’inversione a U è grazie alla tenacia di chi non conosce “resa”, comprese la capogruppo di Fratelli d’Italia (Maesani) e la presidente del Consiglio Comunale (Veronelli). Quest’ultima, non dimenticando di esserne stata vicepresidente, ha sottolineato ai ”suoi” l’efficacia del lavoro della Consulta della disabilità che, da assessore, avevo riavviato nel mandato precedente dopo anni di assenza o di torpore.
Un fatto è certo: la città non è un oggetto finito, né tanto meno abbandonato; la città, semplicemente, è in perenne divenire. Da almeno trent’anni, e da amministrazioni diverse, anche il processo di abbattimento di “barriere” architettoniche è andato avanti incessantemente, anche se per molti troppo lentamente, e nessuno, ma proprio nessuno, può o deve appuntarsi medaglie in un processo necessario e sempre migliorabile.
Ma un dato è altrettanto certo: ci sono differenze di approccio e di metodo tra quanto fatto dall’amministrazione precedente e l’agire di oggi.
La differenza è culturale e, quindi, politica.
Durante il mio incarico assessorile avevo avviato quattro consulte, tre delle quali del tutto nuove e mai attivate prima: oltre alla consulta della disabilità avevo dato vita a quella delle associazioni di stranieri, delle associazioni di anziani, delle associazioni che si occupano di minori, con più di cento incontri nel corso del mandato. Ad oggi nessuna delle quattro consulte è stata riattivata.
La mia scelta discendeva dalla consapevolezza che ogni “condizione” speciale (l’essere anziano, straniero, portatore di una disabilità motoria o sensoriale, quindi l’essere sordo, cieco o ipovedente, o l’essere accanto a una persona con deficit cognitivo) determina un “punto di vista” possibile soltanto a chi abita quella condizione.
Poiché tali esperienze (che possono in qualche caso anche sommarsi tra loro!!) sono del tutto impossibili a chi vive una condizione “standard”, non può essere sufficiente la buona volontà e tanto meno il paternalismo di chi pretende di sapere già tutto sia del problema sia della “soluzione”. Affinché nessuno sia escluso, è necessario che siano chiamati a concorrere al processo di edificazione continua della città tutti coloro che conoscono in prima persona l’esperienza di “NON ESSERE COM-PRESI” che vuol dire non essere inclusi ma, ancora di più, non essere capiti o, addirittura, non riconosciuti come portatori di esperienza, di saperi, di volontà e di intelligenza propria.
“L’esperienza di NON ESSERE COM-PRESI” fu il titolo scelto dalla Consulta della disabilità per la giornata del maggio 2016 dedicata a questa riflessione.